The Family Wall

Il nostro primo, vero, viaggio

Credo il mio viaggio più emozionante, quello più sudato, quello più sognato, quello più desiderato, non sia stato poi cosí lontano da casa. Non é stato fare il bagno in mari tropicali o perdersi in metropoli affascinanti, ma é stato quello dall’ uscita della terapia intensiva neonatale alla porta di casa nostra.

Il nostro, è stato un viaggio che in realtà è cominciato molto tempo prima, e in pochi conoscono com’é andata davvero. Difficilmente mi è capitato di raccontare questa storia perché è stato un momento molto duro delle nostre vite. Ha segnato la mia vita e quella di Pino per sempre.

Purtroppo, quando mi trovo in difficoltà tendo a chiudermi, e comincio invece a raccontare la storia del “va tutto bene”. E so benissimo che è un grosso errore. L’ho provato sulla mia pelle e purtroppo, di conseguenza, su quella di Pino. Solo grazie a tanto amore e ad una persona esterna che ci ha aiutato a tirare fuori tutto ci siamo tirati fuori dal buio.

E parlo del buio quello nero, quello che fa paura davvero.

E’ per questo che ho deciso di raccontare tutta la nostra storia, e farlo sapere a tante persone, anche molto vicine, ma ignare di tutto.

Renderla pubblica qui, per far sentire meno soli tanti come noi, per cui decidere di avere un bambino non è una dolce attesa romantica, ma un mix di dottori, interventi e cure. Per far capire che non è una cosa di cui vergognarsi avere dei problemi ad avere figli, per far capire, ai tanti ficcanaso di turno, che non è il caso di continuare a insistere con le classiche domande “ma quando farete un bimbo???’’ perché forse ci si trova davanti ad una coppia che per queste cose non ci dorme la notte.

Perché le cose non sono sempre semplici, perché ci sono anche storie difficili, impossibili… ma siamo in tanti, tantissimi. Tantissimi che ci nascondiamo, che non parliamo con nessuno, ma che lottiamo come i leoni! Ecco, leoni, tirate fuori i denti e la forza che avete dentro e non abbiate paura a mostrarla, non vi mostrerete agli altri deboli, ma più forti che mai.

Ma veniamo alla storia…

Come purtroppo può succedere, e succede molto più spesso di quanto venga percepito, quando si decide di avere un bambino, non è sempre tutto così facile come si immagina…ci sono coppie per cui il dolce quadretto tanto desiderato si può trasformare in un’illusione, un incubo che prende corpo davanti a un “ci vorrebbe un miracolo” detto da un medico.

E infatti a noi è andata proprio così… abbiamo attraversato un periodo durissimo, cure e un intervento, e poi è arrivata lei, Mia, la mia bimba con gli occhi blu e i capelli neri.

La mia bimba di cui ho visto il viso solo nei miei sogni, ma di cui ho sentito battere il cuore e visto mani e piedini.

La mia bimba ha vissuto solo 3 mesi nella mia pancia, poi il suo cuore ha smesso di battere.

Una piccola stella, che veloce ha lasciato una scia indelebile nelle nostre vite, un graffio che ha segnato permanentemente i nostri cuori.

E’ stato un periodo in cui pensavo solo ci fosse solo dolore.

Ogni tanto pero’ anche i miracoli devono anche accadere, altrimenti nessuno ci spererebbe più, e così è successo.

Sono rimasta di nuovo incinta!
Travolti dalla felicità, non avremmo mai pensato che in realtà sarebbe durata solo per poco. E così, dopo pochissimo, iniziarono i problemi e le corse in ospedale, e di fronte ai pareri negativi dei medici, mi sono portata avanti questa gravidanza. Poche, pochissime speranze.

Ogni giorno era un giorno in più, e una speranza in più. Sentivo che il mio piccolo poteva farcela, e anche se non ci credeva nessuno, c’erano la sua mamma e il suo papà a credere in lui. Aveva pur bisogno di qualcuno dalla sua parte!!
E così è andata la mia dolce attesa..un conto alla rovescia e una battaglia contro il tempo. Perché doveva andare avanti più lungo possibile, anche se difficilissimo…possibilità di non sopravvivenza 100% ..99% ..95% ..90% ..80%..

Come sono stata io? Non ho potuto gioire come le altre mamme, se non dei miei piccoli numeri che diminuivano con il passare delle settimane di gestazione. Quelli erano i miei piccoli traguardi!

Non ho fatto shopping per il bimbo, non abbiamo scelto il nome se non la sera prima di partorire, non ho mostrato a tutti il mio pancione, non abbiamo preparato la cameretta, non ho fatto il lettino, non ho preso il fiocco, ciucci e nemmeno i pannolini.
Il terrore aveva congelato ogni gesto naturale.

Sembrano piccolezze, ma, non poter godere della normalità, che sembra così scontata per i più, per me e per chi si sarà trovato nella mia stessa situazione, sono coltellate nel cuore, delle emozioni rubate.

Se ci ripenso ci sto ancora male adesso dopo 3 anni.

Quando è nato Diego era una calda giornata di fine Aprile. Anche qui eravamo felici a metà. E’ stato subito abbastanza bene per fortuna, ma piccolissimo.
Non l’ho potuto nemmeno toccare, un bacino e via con i medici in terapia intensiva. L’ho visto per 5 minuti il giorno dopo, attraverso i vetri di un’incubatrice.

Quella che ora Diego chiama la sua “casetta di vetro’’ quando racconta la storia di quando è nato.

Quando hanno dimesso me dall’ ospedale è stato uno dei giorni più brutti della mia vita.
Io mamma, che usciva dall’ ospedale delle mamme, senza bambino. Non è naturale.

Poi sono stati giorni in sospeso, giorni non giorni, in cui tutto era lí in quell’ospedale e tutto ció che avevamo fuori non aveva importanza. E le nostre vite sono rimaste in attesa.

Ho messo questa foto sgranata, fatta con il cellulare e con gli occhi gonfi, ma che amo tanto, perché simboleggia il viaggio più importante della nostra vita.

Quello semplicemente verso una vita normale.

Dopo un mese di terapia intensiva, un mese durissimo per noi, uno dei giorni più belli della mia vita.

Quello in cui ho iniziato a sentire anche io quella sensazione meravigliosa, quell’amore verso il proprio bambino che mi sono negata per tutta la gravidanza, per paura che non andasse bene.

Quello in cui non ho dovuto più chiedere il permesso ai medici per toccare mio figlio.

Quello in cui abbiamo potuto, anche noi, mamma e papà, iniziare a sognare tutte le cose meravigliose che avremmo potuto fare insieme a nostro figlio, Diego.

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